Essere genitori: l’importanza dell’Empatia per la crescita

Dott.ssa Anna Zanardo – Psicologa Psicoterapeuta

Quando parliamo di genitorialità ci riferiamo a ciò che gli studiosi considerano come una funzione autonoma e processuale dell’essere umano che riguarda l’interpretazione dei bisogni, la protezione e l’accudimento di un’altra persona (G. Fava Vizziello 2003).

Curiosamente, dunque, la genitorialità è una funzione preesistente al concepimento di un figlio e può esprimersi in vari ambiti dell’esistenza; inoltre sono diversi i momenti della vita nei quali entra in gioco il prendersi cura dell’altro.

Considerando la genitorialità in senso stretto, è invece fondamentale ridimensionare ogni tipo di pregiudizio relativo a pregressi momenti di fragilità emotiva e a un loro presunto inevitabile ripercuotersi sulla possibilità di essere dei buoni genitori. Si può anzi ritenere che la capacità di aver riconosciuto le proprie aree di difficoltà e aver trovato un tempo per il pensiero e la cura di sé sia preparatorio e facilitante l’accudimento dell’altro.

Un aspetto della genitorialità concerne infatti la capacità di comprendere gli stati emotivi dei figli e rispondere in un modo efficace e comprensibile in base alla loro età.

Ad esempio una mamma sensibile e disponibile sa capire se il pianto forte del bambino piccolo è dovuto a fame, e non ad altro, e sa offrirgli insieme al cibo la giusta dose di rassicurazione dallo stato di tensione in cui si era venuto a trovare, calmandolo e rinforzando il senso di un ritmo nella relazione, un ritmo che lo renderà via via più capace di autoregolarsi. Ma sono molteplici le situazioni alle quali possiamo pensare: ad esempio un bambino che da poco ha imparato a camminare cade e, più che il male in sé, è lo spavento per la rottura improvvisa nel suo senso di adeguatezza e competenza ciò che reclama un intervento rassicurante da parte del genitore.

Se per empatia si intende la capacità di comprendere i sentimenti di un’altra persona, di mettersi nei suoi panni, pur rispettandola nel suo essere differente, in quanto ogni individuo ha una sua unicità, allora risulta imprescindibile il chiedersi quale ruolo giochi e quanto sia importante entrare in risonanza con le emozioni del figlio e fargli sentire la vicinanza emotiva tramite gesti o parole, pur mantenendo la dovuta quota di asimmetria per non rinunciare al ruolo di adulti.

Ci viene qui in soccorso il pensiero di un maestro di pediatria e psicoanalisi inglese, Donald W. Winnicott (1974), che ricordava ai genitori, e alle mamme in particolare, che non devono essere perfetti, ma “sufficientemente buoni”.

Un genitore quindi deve essere in grado di mettersi nei panni del proprio bambino, in modo da accogliere i suoi bisogni, ma nello stesso tempo non deve ambire a porsi in modo perfetto, secondo un fantomatico ideale prestabilito. Seguire il proprio istinto e il proprio buon senso è spesso la cosa più indicata, perché i genitori sono predisposti naturalmente a prendersi cura dei propri figli. La sintonizzazione col proprio bambino avviene però per piccoli passi, proprio come quando conosciamo una persona nuova e abbiamo bisogno di passarci del tempo insieme per capire come prenderla. E’ sbagliato infatti pensare che sia immediato e semplice per una mamma, o un papà, capire di cosa il suo piccolo ha bisogno, ad esempio distinguendo i diversi significati che possono avere il pianto o i versetti del bambino di pochi mesi (fame, sonno, voglia di muoversi o prendere un oggetto …ecc.).

E’ poi attraverso il rispecchiarsi negli occhi dei propri genitori che il bambino comincia a crearsi un’idea di sé stesso, e impara a nominare le proprie emozioni. L’immagine che ha di sè si basa su ciò che gli viene trasmesso dall’adulto, per quanto possa esservi l’influenza di un carattere su base biologica.

Un genitore, insegnando al proprio figlio ad accettare i propri stati d’animo, sia negativi che positivi, e a non esserne sopraffatto, lo aiuta a porre le basi per un rapporto equilibrato con la propria emotività.

Il bambino infatti interpreta inizialmente se stesso, e il mondo, venendo influenzato dalla modulazione offerta dagli adulti sia agli stati interni che prova sia agli eventi esterni che lo coinvolgono. La vicinanza emotiva dei genitori al propri figlio è quindi fondamentale per una crescita serena, perché costituisce un mezzo attraverso cui egli impara ad attribuire un senso a quello che prova, a riconoscere le proprie emozioni e a rapportarsi serenamente con esse. L’acquisizione di questa capacità avrà una profonda influenza su diverse sfere: dalle relazioni interpersonali (ad es. porsi nei confronti degli altri con rispetto ed empatia, disponibilità ad elaborare e a risolvere i conflitti) alla propensione a sviluppare armoniosamente i propri obiettivi a livello scolastico e lavorativo (ad es. una persona sopraffatta dalle proprie emozioni fatica maggiormente a portare avanti dei compiti con costanza).

Questo dialogo costante tra il genitore e le emozioni del suo bambino può incontrare dei fraintendimenti, più o meno pervasivi, e di natura più o meno temporanea.

Ricordiamo che la sintonizzazione emotiva tra due persone non sarà mai perfetta, proprio perché ciascun individuo è diverso dall’altro. E’ proprio questa imperfezione, il riconoscere ed accettare le differenze e le incomprensioni tra genitori e figli, trovando un compromesso tra i due punti di vista grazie all’ascolto dell’altro, che arricchisce il rapporto. Apprendere che i conflitti possono esserci ma sono superabili stimola il bambino a trovare delle soluzioni proprie, a diventare indipendente e autonomo e a rafforzare la propria personalità.

In alcuni casi però possono crearsi delle dissonanze nocive, magari limitate ad alcuni ambiti, che possono fungere da ostacolo nel percorso educativo e di crescita.

Alcune manifestazioni di ciò possono essere ad esempio delle difficoltà a gestire alcune problematiche comportamentali dei figli, oppure un senso di smarrimento e sfiducia da parte dei genitori. A volte può esservi l’influenza di momenti di crisi a livello familiare o la presenza situazioni contingenti difficili da superare. Oppure per un adulto può essere più facile rapportarsi con un bambino che ha un determinato carattere, ad esempio più in sintonia con delle proprie aspettative o modi di intendere la realtà, e faticare di più con un fratello rispetto ad un altro. O certe fasi dello sviluppo possono mettere in difficoltà un adulto che prima si sentiva sicuro (ad es. ci si trova meglio quando il bambino ha meno di tre anni o va alla scuola elementare).

Per tutte queste considerazioni sappiamo che, talvolta, lo sguardo esterno di un consulente preparato ad accogliere i vari movimenti della psicologia della genitorialità, può aiutare ad aprire nuove prospettive per la coppia genitoriale o per il singolo genitore, aiutando ad uscire da alcune trappole comunicative in cui si è incappati e valorizzando le risorse naturalmente presenti nelle mamme e nei papà.

Immagine ©Liane Metzler unsplash.com

Articolo scritto per Studio Heima https://www.facebook.com/heimapadova/

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